Regione Piemonte

Città di Alessandria

Assessorato alla Cultura e Turismo
della Città di Alessandria
Sistemamusei@comune.alessandria.it
Fondazione CRT Torino
L’uovo di struzzo Torino


“LA CITTÀ DELL’ARTE”
Febbraio 2008
Palazzo Cuttica
Alessandria

Catalogo Ed. L’uovo di struzzo Torino
Testi in catalogo di Edoardo Di Mauro
Foto: Tommaso Mattina, Torino
Gold the italian high tech
Mario Fossati Assicurazioni Alessandria
Azienda Agricola Rabino Viticoltori del Roero
Ass. “Aristide Vasone” Frugarolo

 

PRESENTAZIONE

Nel delicato e stimolante passagio che l’arte contemporanea sta vivendo, intreccian­do, i suoi destini con quelli della società occidentale nel suo insieme, un ruolo impor­tante può essere giocato, soprattutto in Italia, dall’impostazione di un nuovo rapporto tra arte e territorio, modalità tramite cui l’arte può riscoprire la sua dimensione etica, sempre più evanescente in una fase in cui dominano il mercato e le sue leggi. I motivi sono molteplici, tra questi si può citare la presenza di un paesaggio culturale colmo di innumerevoli vestigia con urgenti esigenze di tutela e conservazione, di politiche di intervento spesso frenate da un coordinamento centrale burocratico e farraginoso che non agevola i buoni intenti spesso manifestati dalle singole municipalità e l’ar­retratezza delle strutture didattiche, ad onta della eccellente professionalità di molti operatori del settore, che dovrebbero sin dalla più giovane età educare alla bellezza, suscitando nel cittadino il desiderio di vivere in una dimensione esteticamente e non solo materialmente gratificante, agevolando la pulsione alla fruizione artistica. Chi scri­ve è impegnato da un quinquennio in un’azione tesa a stabilire un rapporto corretto ed equilibrato tra arte e territorio nella sua città di principale residenza,Torino e, più in generale, dove insorgano condizioni favorevoli per sviluppare dei progetti in questa direzione. Dal punto di vista della mia ormai lunga esperienza personale, oltre al pro­getto” Moncalieri Porta dell’Arte” che sta costellando quella città alle porte di Torino,
ma dotata di autonome e non indifferenti risorse dal punto di vista culturale ed am­bientale, nonchè di un tessuto urbanistico estremamente variegato, di segni artistici legati ai linguaggi del contemporaneo, l’altra realtà che mi assorbe con impegno da anni ed è valido esempio per meglio spiegare le problematiche oggetto di questo testo, è il Museo d’Arte Urbana di Torino. Quest’ultimo è il primo concreto tentativo, in Italia, di dare vita ad un insediamento artistico permanente all’interno di un gran­de centro metropolitano con la peculiarità di essere progetto che parte non dall’alto ma dalla base, tramite un attivo coinvolgimento dei residenti di un quartiere del tutto particolare, il Borgo Vecchio Campidoglio. Si tratta di una porzione di spazio urbano singolare, un vecchio quartiere operaio di fine ’800 che ha mantenuto, nel tempo, del tutto intatta la sua struttura a reticolo costituita da case basse con ampi cortili interni dotati di aree verdi, un vero e proprio “paese nella città” collocato in una zona semi­centrale di Torino. Dal 1995 è iniziato,in quella zona un progetto integrato di recupero
al fine di dotare di migliore qualità della vita un’area che giaceva dominata dall’in­curia, in cui l’arte ha giocato un ruolo prioritario con la realizzazione, ad oggi di 104 installazioni artistiche permanenti, opere murali spesso di grandi dimensioni, collo­cate sulle pareti degli edifici, a cui fra breve si affiancheranno, in determinate zone del quartiere, sculture ed installazioni. In Italia l’impatto della invasiva urbanizzazione avvenuta in seguito al boom economico degli anni ‘50 e ‘60, foriero di sincera speran­za nel futuro ed utopiche ambizioni per molti artisti, venne incautamente gestito, tra l’abbandono delle tradizioni della nostra società rurale e la creazione di opprimenti quartieri-ghetto, fonte di disagio ed emarginazione, ferite ancora aperte e sanguinanti. Questo nonostante un notevole livello di consapevolezza teorica, anche se obiettiva­mente limitato a ristrette pur se qualificate elite intellettuali, ed il dibattito sviluppatosi attorno alle tematiche ambientali rapportate ai nuovi fenomeni di inurbamento. Nuove concezioni urbanistico-architettoniche sostenevano la priorità di un intervento diffuso e capillare, “unitario”, sull’ambiente urbano, in previsione di una sua riappropriazio­ne comunitaria e rifondazione estetica. L’ambiente non veniva quindi interpretato solo come agglomerato architettonico o edilizio ma, prima di tutto, come patrimonio di esperienze di carattere sociale, psicologico, antropologico. Parole d’ordine lun­gimiranti ma purtroppo destinate a non essere raccolte da un contesto che virava in tutt’altra direzione. Infatti opportunità di rinnovamento estetico offerte all’allarga­mento dei confini urbani, salvo rari casi quasi sempre finalizzati a contesti di edilizia residenziale o a singole opere avulse dal rapporto con il territorio sono sfociate in un disastro senza pari, fin troppo noto e dibattuto, come se il concetto di “contem­poraneità” coincidesse con quello di cementificazione selvaggia. Tutto ciò ha gene­rato, oltre ad una diffusione ed assuefazione al brutto, un disfacimento dei rapporti sociali e del senso della comunità anche quando le intenzioni progettuali, come nel caso dello ZEN di Palermo, scaturivano certamente da una iniziale buonafede. Nel­l’ultimo ventennio, in particolare negli anni ‘90, si sono moltiplicate le esperienze di verifica di un possibile nuovo rapporto tra arte ed ambiente naturale e metropolitano, in alcuni casi con progetti di elevato interesse. Bisogna verificare come, nell’ultimo periodo, siano più frequenti gli esempi di amministratori la cui azione si indirizza verso un recupero consapevole del rapporto con la tradizione storica dello spazio urbano.
É importante per una città, non importa di quali dimensioni, essere in grado di tra­smettere alle generazioni future tracce e segni capaci di permeare positivamente di sè il territorio. Il rispetto e la tutela della memoria del passato non devono essere scissi dalla esigenza di agire sul presente in direzione del futuro prossimo. Il progetto elaborato dall’Associazione Culturale L’Uovo di Struzzo sul tema “La Città dell’Arte” opera una riflessione in chiave filosofica e concettuale su questo argomento, oggi più che mai d’attualità e genera un conseguente ed opportuno corto circuito temporale. La Città dell’Arte si collega elettivamente all’utopia, che seppe però concretizzarsi in agglomerati architettonici di altissimo livello, nella “Città Ideale” del Rinascimento.
In questo caso non si tratta del cimento, pur importante, teso a contribuire alla ri­cucitura dei rapporti sociali di isolamento e disgregazione ed a donare bellezza e qualità della vita alle periferie urbane e neppure l’azione estetica con la quale si possono dotare di personalità e senso gli innumerevoli “non luoghi” della no­stra contemporaneità, ma di far convivere in armonia spazi classici e linguaggi attuali dell’arte alla ricerca di un punto di equilibrio che metta in evidenza affini­tà e divergenze ma anche continuità storica che può e deve esistere tra la con­creta utopia del passato e l’effimera ma sincera urgenza espressiva dell’oggi.
Nel Rinascimento umanista la riscoperta della classicità ed in specie delle teorie filosofiche e politiche di Platone ed Aristotele portarono ad una riflessione sulle possibilità di uno stato che, retto dai sapienti, potesse garantire l’equilibrio delle diverse sfere che componevano la vita comunitaria ed andavano dall’economia alla politica, dalla religione alla cultura. L’architettura giocava un ruolo fondamentale in questa proget­tualità diffusa per la sua funzione simbolica. Se nell’antichità aveva rivestito un ruolo prevalentemente magico-rituale e poi nel Medioevo aveva assolto a compiti relativi alla sfera della trascendenza e del sacro, vissuti come riflesso di un’esistenza comunitaria, nel Rinascimento, fase storica equamente ed anche contradditoriamente divisa tra ri­scoperta di valori umanistici correlati ad una iconografia allegorica e talvolta ermetica, profondamente colta, ma anche intrisa nell’intimo di razionalismo, essa diventava sino­nimo di un governo amministrativo con rigore e giudizio. I criteri urbanistici dovevano essere elaborati secondo calcoli precisi per dare vita a forme perfette e simmetriche fondate sull’applicazione della prospettiva lineare, introdotta nelle sue linee guida da Brunelleschi nel 1421, e poi codificata nel 1435-36 da Leon Battista Alberti nel celebre trattato “De Pictura”. Trattato che, in parallelo con l’omologa invenzione gutemberghia­na della stampa a caratteri mobili, di pari centrata su di una dimensione puntativa e monoculare della percezione, dava il via, culturologicamente parlando, alla stagione della modernità che scorrerà sul crinale di quattro secoli. Il Rinascimento è fondato su una concezione antropocentrica, in cui l’uomo si colloca al centro del mondo e, forte della sua rassomiglianza con Dio, cerca di interpretare le leggi della natura e di piegarla ai suoi voleri. L’uomo si pone anche come motore attivo rispetto alla città. Nel trattato “De Re Aedificatoria” l’Alberti, nella scia di Vitruvio, individua la città come sede del vivere civile, come aggregazione di individui che devono relazionarsi armo­nicamente attorno a temi sociali, politici ed economici. Con singolare sincronia sarà proprio l’esordio pieno della successiva stagione post moderna, dopo l’emblematico 1968, a far tornare d’attualità il tema della “città ideale”. In uno scenario caratterizzato dall’invasività crescente delle nuove tecnologie immateriali, dall’avvento della società post industriale, dalla crisi di identità e di certezze dell’era della globalizzazione, ma anche delle possibilità di comunicazione e relazione inedite che offre la civiltà tele­matica, in un panorama del tutto opposto rispetto all’aura modernità rinascimentale, ci si è di nuovo urgentemente posti il problema della riorganizzazione dello spazio urbano alla ricerca di una nuova armonia, con l’arte a giocare un ruolo centrale. Per questo dialogo moderno e contemporaneo l’Uovo di Struzzo ha individuato due luoghi emblematici di Alessandria. Il primo è quello dove il confronto avviene concretamente. Si tratta del settecentesco Palazzo Cuttica di Cassine, sito nel cuore della città, un luogo ricco di reperti d’arte che coprono una vasta gamma di proposte spaziante dal­l’archeologia all’Ottocento. Il secondo, evocato ma presente, è la Cittadella collocata sulle rive del Tanaro, celebre per la sua pianta stellare con sei baluardi attorniati da bastioni. A Palazzo Cuttica sei artisti contemporanei di varie generazioni con diffe­renti tecniche si confrontano con le architetture ed i tesori artistici dello storico sito.
Luca Bernardelli realizza un allestimento giocato sul registro di una intima riflessione lirica sulla storia, sulle sue stratificazioni che sfociano in una memoria collettiva di cui l’artista è ideale recettore. Nel video scorrono immagini delle opere contenute nelle sale di Palazzo Cuttica, esempi di una sensibilità che in passato come ora ambiva alla bellezza ed all’ideale, viste con gli occhi e le sensazioni dell’artista. Questo clima di sognante sospensione è interrotto dall’irrompere della realtà, nelle vesti di un insetto che volando si poggia sul fluire delle immagini. A completare l’installazione piccoli cubetti trasparenti di plexiglas disposti su mensole, contenenti frames del video che permettono agli spettatori una opportuna attività di interazione.
I “cieli” di Antonio Carena, che sono la componente più nota ma certo non l’unica nella lunga carriera dell’artista rivolese, si pongono in armonica e dialettica antitesi con la storicità dello spazio ed il concetto di “città ideale” di matrice rinascimentale. Questo perché il Rinascimento è la stagione che dà il via al naturalismo, cioè alla volontà di rappresentare la natura secondo schemi di rigorosa oggettività e verosimiglianza. Il lavoro di Carena è, all’opposto, antinaturalista per eccellenza, la sua natura è reinventata mentalmente, dominata dalla volontà dell’artista che la applica sui contesti più disparati, dai trompe-l’oeil che irrompono in contesti privati e pubblici, agli interventi su oggetti quali lamiere e pellicole. La “colonna di cielo” che l’artista presenta per l’occasione si inserisce perfettamente nell’architettura del luogo.
Gianni Caruso è un artista da sempre impegnato in una ricerca sviluppata con materiali appartenenti alla più ristretta contemporaneità: fotografie, video, oggetti e materiali quali vetri e plastiche, nonché elementi tratti dalla natura come erba e sabbie, in omaggio alla sua formazione artistica maturata nell’alveo del concettuale “mondano”, quello teso alla ricerca di un dialogo tra artificio e natura. Ma la sua attenzione è al tempo stesso sempre stata rivolta alle stratificazioni di storia e di cultura che rendono il nostro mondo degno di essere vissuto e che solo uno spirito nomade e curioso, privo di preconcetti e di vincolanti appartenenze, può cogliere appieno nella loro essenza intelligibile. In mostra Caruso presenta due elementi installativi. La prima opera, intitolata “Icaro”, si compone di un libro collocato su un leggio che interagisce con il video di Chiara Scarfò “Game over” il quale viene proiettato in maniera speculare sulla stessa parete divisa dall’apertura di una porta, in modo che le immagini abbiano a formare due ali. La seconda installazione evoca la struttura “assente” della Cittadella rendendola per paradosso immanente all’evento ; una struttura regolare in vetro sollevata da terra con dei morsetti raffigura nella parte centrale una stella a dodici punte eseguita con l’erba, riferimento alla pianta della fortezza. Vincenzo Marsiglia con il suo lavoro ci riporta al tema della regolarità architettonica della “città ideale”. Infatti la cifra stilistica di Marsiglia, di rigorosa matrice aniconica, anche se la sua è un’astrazione aggiornata sulla lunghezza d’onda della contemporaneità, ruota attorno ad un dato visivo di immediata riconoscibilità, una stella a quattro punte dotata dall’artista delle prerogative di un vero e proprio “logo”. Usando questo spunto come base di partenza Marsiglia si cimenta in composizioni innervate da una febbrile creatività, tecniche miste dove l’acrilico si abbina a tessuti, feltri, pailettes, ceramiche. Nell’allestimento Marsiglia crea un’architettura d’interni, un contesto abitativo dove sono presenti un tappeto di ceramiche ed un divano del primo ‘900 riccamente intarsiato da una fascinosa fodera d’artista. Carlo Merello è un autore che fa della rifl essione concettuale sullo statuto linguistico di arte ed architettura, sulla loro autonomia di linguaggio ma anche, nel clima contemporaneo, sulla possibilità di dare vita ad armoniche sovrapposizioni di linguaggio, la sua cifra estetica e questo lo rende artista estremamente idoneo al dettato di questa mostra. Se nel passato l’architettura assumeva, al di là della sua simbolica resa fi nale, un ruolo soprattutto funzionale, che era quello di dar corpo ad una costruzione e l’arte fungeva da ponte illusionistico verso la realtà, la complessità del contemporaneo ha permesso l’abbattimento di vincoli e steccati, rendendo possibili contaminazioni linguistiche. Con l’astrazione e con l’arte concettuale l’artista si è impegnato a far dialogare armonicamente l’opera con lo spazio circostante, mentre compito dell’architettura è sempre più la realizzazione di un ambiente reso confortevole dall’equilibrio degli elementi di arredo. Ecco allora che Merello dà corpo ad una architettura visuale, realizzando delle opere in cui si preserva la caratteristica metafi sica dell’oggetto artistico e di pari lo si colloca con rigore ed equilibrio in un ambiente, come è testimoniato dalle opere che l’artista installa negli spazi di Palazzo Cuttica. Di Chiara Scarfò ho già detto prima in relazione al suo video “Game over” interagente con l’installazione di Gianni Caruso. La poetica dell’artista è centrata, come molte ricerche dell’oggi ma con evidente originalità, sulla tematica del corpo. Il corpo dell’artista è teso verso la verifi ca di una relazione con lo spazio, con l’architettura, con gli ambienti domestici, in una perenne e mai quieta perlustrazione dei luoghi alla ricerca di un equilibrio e di una quiete, poetica che simboleggia, nel caso di questa mostra, l’aspirazione ad una dimensione nuova dell’abitare, non più ispirata a criteri di mero funzionalismo. In mostra l’artista presenta, oltre al video, due foto tratte dalla sua recente serie intitolata “Tilt”.
Edoardo Di Mauro, febbraio 2008.